mercoledì 8 maggio 2013

La Via della Seta



Importante per la storia della tecnologia è il settore tessile. Fra tutti gli argomenti, molta attenzione e curiosità suscita la seta, questo prezioso e seducente filamento. La seta è una fibra proteica di un animale con la quale si possono ottenere tessuti tendenzialmente pregiati. La seta viene prodotta da alcuni insetti dell'ordine dei lepidotteri oppure dai ragni, la seta utilizzata per realizzare tessuti si ottiene dal bozzolo prodotto da bachi da seta.

La seta nell’antichità

La scoperta della lavorazione della seta in Cina è stata per lungo tempo ritenuta leggendaria. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe stata la sposa di Huangdi, il mitico Imperatore Giallo e leggendario padre della civiltà cinese, vissuto intorno al 3.000 a.C., ad aver per prima scoperto le proprietà del filamento prodotto dai bachi da seta.
Difatti, i più antichi reperti in seta riportati alla luce provengono da siti della cultura tardo-neolitica di Liangzhu, fiorita tra il 3.300 e il 2.200 a.C. nella Cina orientale, nei pressi del Lago Tai, là ove si trovano oggi le moderne città di Hangzhou e Shanghai. Si tratta di pochi ma significativi ritrovamenti: un frammento di tessuto e i resti di una cintura in seta che tuttavia attestano inequivocabilmente come il materiale serico fosse già noto agli antichi Cinesi proprio all’epoca indicataci dalle leggende sull’Imperatore Giallo e la sua consorte.
Da quando l'Occidente la conobbe, proprio come il Giappone, venne colto da una vera a propria passione nei suoi riguardi e, a Roma, Plinio si stupiva del fatto che si potesse attraversare l'intero universo allora conosciuto, e a prezzo di mille pericoli, “perché una dama romana potesse dare sfoggio del proprio fascino sotto una garza trasparente”. Nella Città Eterna le sete, a quel tempo, valevano letteralmente tanto oro quanto pesavano.

I cinesi furono di gran lunga i primi a trarre la seta dal bozzolo del bruco della farfalla Bombyx mori, un baco che si nutre della tenera foglia del gelso (Morus).

 L'allevamento sistematico del baco da seta e lo sviluppo dell'industria tessile si possono osservare, dal punto di vista archeologico, dal XIV secolo a.C., ovvero con due dozzine di secoli d'anticipo sull'Occidente, che pure fin dall'inizio dell'era cristiana si dimostra muto d'ammirazione e impaziente di scoprire il segreto della fabbricazione di questo materiale meraviglioso, fine, soffice, morbido, a trama fitta, flessuosa, e di superba freschezza. Doveva tali qualità alla superiorità della sua fibra, eccezionalmente lunga; un filo di seta può raggiungere chilometri di lunghezza, mentre le altre fibre tessili non superano alcune decine di centimetri!

Si capirà perciò che ben presto la Cina venne designata, oltre i propri confini, come il paese della seta, a che i primi nomi che le vennero dati vi si riferissero; la indicavano come Serinde, nome che oggi si riferisce piuttosto alla regione del Xinjiang. La Cina fu anche la Serica, il Sericum, il paese della seta (si in cinese) e dei Serici.

Nel III secolo, il monaco Denys le Périégète esprimeva tutta la propria ammirazione: “I Serici fabbricano preziosi abiti elaborati, il cui colore assomiglia a quello dei fiori di campo; sono talmente leggeri da fare concorrenza alle tele di ragno”.

Del resto, la Via della Seta, a ponente della Cina, che la mise in relazione con l'Iran, l'India, l'Occidente ellenico e quindi romano, ebbe un'importanza fondamentale per la sua civiltà; è attraverso questa strada dell'Asia centrale che penetrarono in Cina il buddhismo, il mazdeismo, il nestorianesimo, durante i nostri primi secoli, e poi l'islamismo, a partire dall'VIII secolo.

Marco Polo e il ‘Milione’

Riconducendomi al nome del blog, amando la letteratura, e allo scopo di diffondere alcune curiosità, mi piacerebbe parlare dello straordinario viaggio del veneziano Marco Polo, e delle meraviglie da lui viste e raccolte nel suo celeberrimo libro il 'Milione'. 

Marco Polo si presenta come un uomo dotato di una straordinaria memoria che gli ha permesso di ricordare e di raccogliere in un libro, il Milione, le merveilles, meraviglie, del mondo, il riassunto di un viaggio durato ventisei anni. Fra l’altro il nome che oggi usiamo è posteriore alla stesura: risale al periodo in cui Marco ricominciò a lavorare al suo libro e, fra le varie aggiunte e  cambiamenti, cambiò anche il nome. Il “Milione” deriva dal secondo nome del ramo dei Polo, Emilione.
Marco viene liberato nel 1299 e fa ritorno a Venezia dove muore nel 1324, a settant’anni. Fra i suoi beni, oltre a proprietà, stoffe e oggetti orientali, vengono ritrovate le piastre d’oro che il Gran Kan consegnava a quelli che viaggiavano per lui, affinché fosse loro consegnato tutto il necessario per il viaggio attraverso le sue infinite terre.

Marco Polo ci racconta nei primi diciannove capitoli il viaggio del padre e dello zio, il loro ritorno a Venezia con l’incarico di chiedere al papa Clemente l’invio di “cento uomini savi” nelle terre del Gran Kan per istruire i popoli di quei luoghi sulle cose della religione cristiana. La madre del Gran Kan, infatti, era di religione cristiana. Il Papa Clemente era però morto in quei mesi. I Polo aspettarono tre anni l’elezione del nuovo Papa ma dovettero poi ripartire. Portarono con loro alcune lettere della Santa Sede che certificavano che il compito non era stato svolto poiché il Papa non era ancora stato rieletto. In questi capitoli, Marco Polo ci racconta anche del suo arrivo a Ciandu e del ritorno a Venezia. Dopodiché inizia l’ordinata descrizione delle terre che ha visitato ( o di cui ha sentito parlare da persone fidate).

Tigri, toccando probabilmente Mosul e Bagdad, oppure Tabriz, e giungendo al porto di Ormuz, forse con l'intenzione di proseguire il viaggio via mare; decisero invece di continuare lungo la via terrestre e, attraverso la Persia e il Khorasan, raggiunsero Balkh e il Badakhshan; in quaranta giorni di durissimo cammino superarono il Pamir  e scesero poi verso il bacino del Tarim; attraversato il deserto di Gobi con grandissima difficoltà, pervennero ai confini del Catai, nel Tangut, la provincia più occidentale della Cina da dove proseguirono lungo la parte settentrionale dell'ansa del Fiume Giallo arrivando infine a Khanbalik,l'odierna Pechino, dopo un viaggio durato tre anni e mezzo circa. I Veneziani furono ricevuti con molta festa da Kubilay, il quale non solo li accolse alla propria corte, permettendo loro di osservarne la vita in ogni particolare, ma si affezionò talmente a Marco, che ne fece il suo uomo di fiducia, cui affidava missioni ufficiali o personali anche nelle regioni più remote del suo Impero, fino in Birmania. Marco ebbe così modo di conoscere assai bene le condizioni di vita e i costumi di molte regioni dell'Asia, e svolse il suo compito con grande cura, raccogliendo le notizie che potevano interessare l'imperatore e osservando tutto con scrupolosa precisione. Dopo diciassette anni di soggiorno nel Catai i Veneziani sentirono il desiderio di tornare in patria: l'occasione si presentò quando Kubilay li incaricò di accompagnare in Persia la bellissima principessa Cocacn, promessa sposa del sovrano di quel regno. Attraversato il Mangi, cioè la Cina meridionale, la spedizione giunse al porto di Zayton ove nel 1292 si imbarcò su tredici navi, veleggiando quindi lungo le coste dell'Indocina, della penisola di Malacca, di Sumatra Piccola Giava, di Ceylon, dell'India, dove avvistò anche le Nicobare e le Andamane, e infine della Persia, fino a Ormuz. La missione alla corte persiana fu compiuta consegnando la principessa non al promesso sposo, che nel frattempo era deceduto, ma a suo nipote. Dopo una lunga sosta i Polo ripresero il cammino lungo il percorso già noto, ritornando infine a Venezia.

Non si può negare che la storia del giovane Veneziano che a soli diciassette anni aveva già visitato, o era in procinto di visitare, la maggior parte del mondo allora conosciuto è davvero strabiliante. E’ molto più strabiliante pensare che questo giovane ha poi messo per iscritto, con uno stile molto catalogico, tutto ciò che ha visto, indirizzandolo ai suoi contemporanei, come possiamo vedere nei punti in cui egli si rivolge a loro, per spiegarsi meglio o per avvisarli dell’omissione di qualche informazione che potrebbe spaventarli. Marco Polo tiene i suoi lettori per mano in questo grande viaggio attraverso l’Asia. E i lettori si lasciano condurre senza fare resistenze, impegnandosi per capire i punti più difficili o strani e per superare i problemi legati alla traduzione. Nelle sue innumerevoli traduzioni l’Asia perfetta di Marco Polo diventa incerta e sfuggente. L’originale di ciò che Marco ha visto è sparito per sempre: l’Asia, in continuo movimento, ha fatto in modo che non rimanesse memoria di alcun attimo rimasto uguale per sempre.

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